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Didattica della meraviglia

LA SCUOLA DELLA MERAVIGLIA 

E se poteste mantenere la meraviglia del vostro cuore dinanzi ai miracoli quotidiani della vita, il vostro dolore non sembrerà meno meraviglioso della vostra gioia.

Khalil Gibran

Contesto e opportunità  

I plessi che compongono l’Istituto Comprensivo Serra Riccò e Sant'Olcese sono dislocati su un territorio ampio e articolato che comprende svariate frazioni di campagna affiancate alle frazioni capoluogo, dove sono ubicati i maggiori servizi alla popolazione, quali Uffici comunali, Ufficio Postale, chiese parrocchiali, banca, esercizi commerciali e di ristorazione, impianti sportivi.  

La realtà territoriale risulta quindi molto varia, sebbene il denominatore comune resti un territorio costituito in prevalenza da colline poco coltivate e da presenze boschive in gran parte fruibili, grazie ad una rete di sentieri abbastanza curata.

Il territorio su cui opera l'IC, come tutta la Liguria, grazie alla sua ricchezza biologica e morfologica, costituisce un vero e proprio ambiente di apprendimento che favorisce un contatto tra le attività "dentro" e "fuori" dall’aula. 

L'IC ha sede a Serra Riccò,  presso la Scuola Secondaria di Primo grado Giuseppe Ungaretti.

Presso il Comune di Serra Riccò operano:

Scuola d'Infanzia Rodari a Mainetto

Scuola Primaria  Caffaro a San Cipriano

Scuola Primaria  Frank a Castagna

Scuola Primaria  Montale a Pedemonte

Scuola Secondaria di Primo grado Ungaretti a Pedemonte

 

Presso il Comune di S. Olcese sono presenti:

Scuola d'Infanzia Luzzati ad Arvigo

Scuola Primaria Di Vittorio a Piccarello

Scuola Primaria Matteotti a Manesseno

Scuola Secondaria di Primo grado Negri a Manesseno

 

Attività ricreative e culturali fanno capo alle Biblioteche locali e scolastiche, al piccolo teatro La Lanterna magica a Pedemonte, alle associazioni quali l’ACLI, il Club Famigliare di Castagna, il Centro Ri-creativo di S. Olcese alle pubbliche assistenze, alle associazioni sportive presenti, che svolgono le loro attività presso diversi impianti sportivi distribuiti nelle varie frazioni.

Da enumerare anche le associazioni parrocchiali come l’ACR, la presenza sul territorio di alcune RSA o alloggi protetti per anziani, le SOC Operaie, La Cooperativa Cisef che collabora con i Comuni di S. Olcese e Serra Riccò per svariate attività, tra cui il Music Village. 

Sono inoltre un buon punto di riferimento  i Gruppi Scout dell’Agesci, GE60 di Pontedecimo e GE50 di Bolzaneto.

Nel territorio di Serra Riccò operano anche una scuola nel bosco, denominata “Le radici” e alcune scuole dell’infanzia private; nel Comune di Manesseno è presente la Scuola d’Infanzia Rolla Rosazza Vitale, mentre nel Comune di Sant’Olcese operano una scuola dell’infanzia a conduzione privata, "L'Orsetto" e un asilo nido, “L’Orsacchiotto”.

Il territorio offre una grande ricchezza di passeggiate ed attività all’aperto nel verde, diverse delle nostre scuole hanno giardini piuttosto ampi e adatti a svolgere didattica all'aperto; di grande valore, da potenziare, la presenza, accanto alla scuola secondaria di primo grado Negri, della storica Villa Serra, che offre spazi all'aperto ampi, curati,  ricchi di biodiversità e di opportunità didattiche.

Per preservare un territorio occorre anzitutto conoscerlo e viverlo in tutte le sue forme: la scuola diventa uno dei più importanti presidi contro l’impoverimento e lo spopolamento di alcune piccole ma importantissime realtà. Portare i bambini a esplorare il loro territorio significa  stimolarli a porsi domande, a capire i fenomeni naturali, a prendersi cura dell’ambiente in modo diretto e costante, a sentirsi parte del mondo a partire dalla propria piccola realtà.

L’importanza di apprendere la storia attraverso i racconti e le emozioni di chi ha sulla pelle i segni del tempo, ad esempio, restituisce un ruolo significativo agli anziani, e permette alle nuove generazioni di apprendere in modo significativo. Questo passaggio di consegne è da ritenersi fondamentale e funzionale per le scelte future. 

Occorre coinvolgere in modo collaborativo chi opera nelle istituzioni e nelle realtà locali e le famiglie: un’educazione all’aperto richiede una stretta collaborazione tra i membri della comunità, necessaria a creare un clima educativo accogliente, aperto ai bisogni di ciascun bambino, nel rispetto dei suoi tempi e ritmi di apprendimento. 

È importante che le famiglie, oltre agli insegnanti, inizino a guardare il territorio come a un’immensa aula di apprendimento dove ogni spazio può essere fonte di crescita a livello non solo cognitivo ma relazionale ed emotivo. 

Certamente vanno bene gli spazi scolastici, i giardini e le palestre, ma esiste un ambiente molto più accattivante e formativo che vale la pena conoscere, esplorare, nel quale immergersi per farsi contaminare. Proviamo ad andare oltre agli spazi chiusi e cintati, costruiti per apprendere solo una parte di quello che lo spazio di un’intera città potrebbe offrire, lasciamoci guidare dal sentire dei bambini, non chiudiamo le loro menti dentro contenitori precostituiti, offriamo al bambino opportunità per garantire linfa vitale alla propria mente. Questa è la vera rivoluzione per un ambiente sostenibile e vivibile, se infatti ogni spazio verrà utilizzato dai nostri bambini, dalle famiglie, dai ragazzi, dagli anziani, sarà naturale preservarlo come merita.  

Il progetto di Scuola della Meraviglia apre le porte dell’aula, cercando luoghi e spazi a cielo aperto dove i bambini possano diventare protagonisti attivi del loro sapere. Rappresenta un ponte tra l’aula e l’ambiente esterno ed è un’occasione per scoprire il mondo e imparare dallo stesso, per tornare a scuola con una valigia colma di esperienze e riflessioni da rielaborare, approfondire e ridefinire. L’idea è quella di una scuola sconfinata, che faccia tesoro delle aule offerte da tutto il nostro territorio.

Nell'esperienza all'aperto i contenuti vengono ordinati e riordinati a partire dall’interesse e dalla curiosità dei bambini; tale modalità porta a riconsiderare la didattica quotidiana, le discipline non vengono più divise in modo strutturato, bensì si contaminano in modo armonico e dinamico in base all’evolversi dell’attività proposta.

Questa interdisciplinarità rassicura i bambini, essendo rispondente al pensiero globale: promuove i loro interessi e consente loro di utilizzare al meglio le conoscenze e le abilità acquisite, promuove relazioni, analogie e confronti.

Fuori tutto cambia e l’imprevisto diviene occasione per apprendere giocando.

Compito del docente sarà quello di individuare gli obiettivi opportuni per mediare tra le scelte dei discenti e il progetto educativo predisposto.

Le aule diffuse

I docenti individuano aule diffuse sul territorio, spazi adatti ad essere utilizzati come aule stanziali a cielo aperto: i cosiddetti contesti intelligenti che offrono opportunità (affordances) ai bambini, sia naturali che costruite in termini di giocabilità (Kirkby 1989).

Un campo di azione all’interno del quale interagiscono le caratteristiche e le preferenze personali e le abilità del bambino. I bambini giocano e imparano di più in presenza di affordances naturali e i ricercatori sono d'accordo che la presenza di numerosi e vari elementi naturali negli spazi all’esterno per bambini sicuramente migliora la qualità dello spazio ma soprattutto influenza positivamente lo sviluppo cognitivo del bambino” (cfr. Rivkin, 1990; Stine 1997).

In base alle attività e all’intento educativo delineati in questo progetto, la classe potrà muoversi liberamente scegliendo di trascorrere una parte o l’intera giornata nell’aula scolastica e/o nelle aule diffuse. Tutte le aule diffuse potranno essere punti di partenza per percorsi più lunghi ed itineranti sul territorio.



COMUNITÀ EDUCANTE SUL TERRITORIO: il valore di fare rete

  “Per educare un fanciullo occorre un intero villaggio” (antico proverbio africano) 

La Comunità Educante è l’insieme degli attori territoriali che si impegnano a garantire il benessere e la crescita di ragazze e ragazzi; con attori territoriali si intendono tutte quelle persone che fanno parte di una zona, di una città, di un quartiere o di un Paese, che operano sul territorio a scopi diversi come le associazioni culturali e sportive, gli oratori, le istituzioni, le organizzazioni non governative.

In particolar modo, Comunità Educante sono le famiglie, i docenti e il personale scolastico.

Nella filosofia del progetto le relazioni con il territorio sono costantemente in divenire e la ricerca di nuove alleanze favorisce il rafforzamento dell’offerta formativa rivolta alle classi.

L’ambiente di apprendimento non è fatto solo di luoghi ma di una fitta rete di relazioni tra i suoi abitanti, i bambini hanno infatti bisogno di relazionarsi con tutto il tessuto sociale; pensiamo al valore conoscitivo ed emotivo trasmessi dagli incontri, siano essi con un naturalista, un camminatore, un falegname, un operaio, una nonna, un panettiere, un contadino, un pescatore, un ricercatore. Occorre diventare consapevoli che ogni relazione stretta dai bambini sarà inevitabilmente un atto educativo. 

La famiglia è il primo nucleo di relazioni che ci accompagna e che avrà grande ruolo per il resto della vita; ad integrare l'apporto significativo e imprescindibile della famiglia si affianca la scuola, che ha il compito di far maturare la socializzazione attraverso l’incontro con persone diverse, per età, cultura, origine, abilità.  

Per favorire una crescita equilibrata si devono individuare obiettivi comuni, fornendo sostegno reciproco affinché i bambini possano respirare un clima di condivisione al cambiamento. Studenti e famiglie dovranno diventare figure funzionali nelle decisioni economiche, politiche e sociali del territorio, solo in questo modo potranno sentirsi parte integrante del territorio definendo scelte volte a soddisfare i bisogni della collettività. 

In questi contesti non possiamo dimenticarci della rete digitale, che è entrata nelle case e nelle istituzioni talvolta senza la possibilità di farne un utilizzo consapevole e pedagogicamente orientato.  

La scuola ha l’importante compito di insegnare ad abitare la cultura digitale senza perdere il pensiero critico, aiutando i ragazzi a capire come renderla adeguata alle proprie esigenze personali, sociali e culturali attraverso regole condivise e azioni sostenibili. 

“Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà.  Almeno così dovrebbe essere! Ma non sempre riesce a esserlo, e allora vuol dire che bisogna cambiare un po' l’impostazione. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. E questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato ad imparare, è questo il segreto, imparare ad imparare!...  E questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano: Don Lorenzo Milani". (Papa Francesco, 2014).  

Vorremmo essere una scuola di frontiera capace di mettersi in ascolto per accogliere le differenze e valorizzarle, capace di creare un’alleanza educativa con la realtà del territorio, anche ripensando e mettendo in discussione le metodologie fino ad oggi applicate. 

L’EDUCAZIONE ESPERIENZIALE: una didattica di equilibri tra dentro e fuori

La scelta di proporre la Scuola della Meraviglia come  Progetto di Istituto, lasciando la libertà a ciascun insegnante o team di classe di abbracciare o meno tale progettazione, permette di proporre l'Outdoor Education come pratica di apprendimento esperienziale in cui non si parte dalla teoria, ma ci si immerge nell’ esperienza.

Esperienza significa learning by doing: quando si impara facendo mente azione ed emozione interagiscono fino a trovare il loro equilibrio. Se imparo un concetto studio teoricamente, apprendo delle informazioni. Se posso imparare facendo sviluppo delle competenze (Mancini, 2020).

Riprendendo il modello del ciclo dell'apprendimento esperienziale (Kolb, 1984) i docenti partiranno dall’esperienza concreta legata a percezioni sensoriali ed emozioni, per passare così al passo successivo nel processo di apprendimento: l’osservazione riflessiva, che rappresenta il momento in cui si comincia a prendere distanza da quello che si è vissuto e si costruisce la conoscenza osservando la propria esperienza.

Si arriva così all’astrazione del concetto risolvendo problemi e compiti di realtà, mettendo in campo le funzioni metacognitive.

Le attività sono pensate e strutturate in modo tale da mettere in luce interessi, domande e curiosità, curando tempi dedicati all’ascolto e al dialogo. Un tempo di crescita individuale e collettivo, dove individuare i nuclei di interesse e gli sviluppi e/o le risposte pensate insieme.

I materiali messi a disposizione sono naturali, di alta qualità e spesso non strutturati, costruiti dal gruppo e condivisi. L’attività indoor permette successivamente un tempo di rielaborazione e sedimentazione più lungo, che consente a ciascuno di esprimersi e raggiungere con serenità gli obiettivi; gli strumenti digitali consentono l’approfondimento e la ricerca di informazioni utili a costruire saperi condivisi, che vengono raccolti e conservati con cura, per poter rileggere, rivedere, sfogliare e studiare. Diverremo così capaci di raccontare il nostro percorso insieme.

Facendo riferimento all’esperienza e agli scritti del pedagogista Celestin Freinet, i bambini e le bambine si accostano alla lettura e alla scrittura in modo naturale, cioè seguendo il proprio percorso evolutivo motivazionale, sfruttando il bisogno emergente di imitare la scrittura e successivamente di comunicare desideri, esperienze ed emozioni. 

Del metodo Freinet si riprenderanno nel dettaglio alcune tecniche da lui sperimentate:

La Lezione passeggiata: le esperienze della giornata, di gioco, itineranti, laboratoriali e creative sono luogo per trovare l’ispirazione e catturare suoni e parole.

Il testo libero: per mettere per iscritto ciò che è stato visto ed esperito, valorizzando il proprio punto di vista. L’insegnante sostiene ciascuno in modo graduale alla comprensione della scrittura, grazie a momenti di ascolto dedicato.

Lo schedario: raccolta di testi, materiali e schede di alta qualità scelte  seguendo gli interessi di ciascun bambino per accompagnarlo alla ricerca di informazioni, immagini e risposte. 

Questo metodo si inserisce nel “processo vitale” del bambino, senza richiedergli sforzi eccessivi, affiancando il percorso outdoor capace di garantire un ambiente di apprendimento sufficientemente ricco e stimolante.

Uno sguardo viene rivolto anche all’ambito logico matematico: processi cognitivi sono radicati nel sistema senso-motorio del cervello e sono attività multimodali, avvengono cioè quando si riescono ad attivare contemporaneamente diverse modalità. La struttura del pensiero astratto e/o l’elaborazione dei significati matematici sono attività che necessitano di fare, toccare, muoversi, vedere: l’esperienza in natura, situata e diretta, permetterà di creare attività capaci di motivare e attivare curiosità e abilità che fin da piccoli i bambini imparano per imitazione (contare); situazioni problematiche autentiche inviteranno i bambini ad argomentare e trovare proposte risolutive intuitive e/o condotte con passaggi metacognitivi.

DOCUMENTAZIONE DI UN PERCORSO SPERIMENTALE

Le attività proposte e le esperienze in natura possono essere documentate tramite video, foto, registrazioni audio e brevi narrazioni da parte dei maestri con molteplici finalità:

  • lasciare traccia dei percorsi intrapresi dai bambini e dalle bambine e condividerlo con le famiglie;

  • condividere all’interno dell’IC e con altre scuole le esperienze in natura e le buone prassi sperimentate.

Le finalità del progetto educativo

Il diritto alla felicità 

“Non esiste una via per la felicità. La felicità è la via.” – Thich Nhat Hanh

Educare alla felicità significa aiutare a tirarla fuori (dal latino e-ducere), in quanto già dentro di noi. 

Le nostre giornate sono improntate ad agire per raggiungere la felicità che spesso cerchiamo fuori, nel possesso di beni materiali, nella fortuna, nell’atteggiamento degli altri e dimentichiamo di possederla.

Che cos'è la felicità che abita in noi? Qual è il ruolo dell’insegnante, della famiglia e della comunità per aiutare i bambini e le bambine,  i ragazzi e le ragazze a trovare dentro di loro la ricetta per la felicità?

Riteniamo importante condividere le parole di Stefano Bartolini, docente di Economia politica ed Economia sociale presso la Facoltà di Economia dell’università di Siena, tratte da un’intervista del 04.04.17: 

“Secondo l’OMS entro il 2030 la malattia più diffusa al mondo sarà la depressione (più dell’influenza). (...) Per una società del benessere occorre sviluppare delle buone relazioni a partire dalla struttura delle nostre città, fulcro del tessuto sociale. Sappiamo che per avere buone relazioni occorre un certo tipo di cultura non consumistica, una cultura post-materialistica, che dà peso alle relazioni, ma purtroppo la nostra scuola tende a creare pessime relazioni tra gli individui.

Si comincia con la scuola primaria a mettere i bambini seduti per cinque ore al giorno, cosa incompatibile con le esigenze fisiche dei bambini di quell’età, pertanto il primo messaggio che questi bambini ricevono è tu non sei qui per star bene ma per produrre, per performare e già a sei anni interiorizzano questo messaggio che li accompagnerà per il resto della loro vita.

Poi insegniamo loro un rapporto con il potere, ossia gli studenti vengono esclusi da ogni decisione importante che li riguardi, quindi non viene insegnata loro la partecipazione ed infine mettiamo i ragazzi in competizione, ma sappiamo dagli studi effettuati che questo tipo di atteggiamento non funziona nemmeno per migliorare il rendimento scolastico. Gli studi dimostrano che quelli che hanno risultati peggiori tendono a sviluppare bassa autostima e questo li intrappola in un meccanismo di bassi voti, basso interesse per lo studio e basso rendimento per tutta la loro carriera scolastica. 

Quello che la scuola deve promuovere è la cooperazione, il modello applicato nel nord Europa si chiama modello partecipativo, basato sul lavoro di gruppo, su un rapporto con l’insegnante in cui non è l’insegnante che pone domande, ma l’allievo che dovendo portare avanti dei progetti chiede spiegazioni, si confronta con i compagni. La relazione centrale è quindi tra gli studenti, questo tipo di scuola produce i migliori studenti del mondo, nelle classifiche del rendimento scolastico i paesi del nord Europa sono sempre primi. Questo sistema inoltre, produce molte più capacità cooperative e sociali attraverso lo sviluppo dell’intelligenza emotiva che è cruciale per vivere bene, per avere successo sul lavoro e per far funzionare bene la società.”

 

La Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia e la Costituzione Italiana

Le finalità del nostro progetto sono sostenute e avvalorate anche da alcuni articoli della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e da diversi articoli della Costituzione Italiana.

 

CONVENZIONE ONU dei DIRITTI DELL’INFANZIA 

Articolo 12

Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. 

Articolo 13

Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo. 

Articolo 14

Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Articolo 15 Gli Stati parti riconoscono i diritti del fanciullo alla libertà di associazione e alla libertà di riunirsi pacificamente.

Articolo 23

Gli Stati parti riconoscono che i fanciulli mentalmente o fisicamente disabili devono condurre una vita piena e decente, in condizioni che garantiscano la loro dignità, favoriscano la loro autonomia e agevolino una loro attiva partecipazione alla vita della comunità. 

Articolo 28

1. Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione, e in particolare, al fine di garantire l’esercizio di tale diritto in misura sempre maggiore e in base all’uguaglianza delle possibilità: a) rendono l’insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti; b) incoraggiano l’organizzazione di varie forme di insegnamento secondario sia generale che professionale, che saranno aperte e accessibili a ogni fanciullo, e adottano misure adeguate come la gratuità dell’insegnamento e l’offerta di una sovvenzione finanziaria in caso di necessità; c) garantiscono a tutti l’accesso all’insegnamento superiore con ogni mezzo appropriato, in funzione delle capacità di ognuno; d) fanno in modo che l’informazione e l’orientamento scolastico e professionale siano aperte e accessibili a ogni fanciullo; e) adottano misure per promuovere la regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono della scuola.

2. Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per vigilare affinché la disciplina scolastica sia applicata in maniera compatibile con la dignità del fanciullo in quanto essere umano e in conformità con la presente Convenzione.

3.Gli Stati parti favoriscono e incoraggiano la cooperazione internazionale nel settore dell’educazione, in vista soprattutto di contribuire a eliminare l’ignoranza e l’analfabetismo nel mondo e facilitare l’accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche e ai metodi di insegnamento moderni. A tal fine, si tiene conto in particolare delle necessità dei paesi in via di sviluppo. 

Articolo 29

1.Gli Stati parti convengono che l’educazione del fanciullo deve avere come finalità:  a) favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità;  b) sviluppare nel fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite; c) sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese nel quale vive, del paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua; d) preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi e delle persone di origine autoctona; e) sviluppare nel fanciullo il rispetto dell’ambiente naturale.

2. Nessuna disposizione del presente articolo o dell’art. 28 sarà interpretata in maniera da nuocere alla libertà delle persone fisiche o morali di creare e di dirigere istituzioni didattiche, a condizione che i principi enunciati al paragrafo 1 del presente articolo siano rispettati e che l’educazione impartita in tali istituzioni sia conforme alle norme minime prescritte dallo Stato.

Articolo 31

1. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.

2.Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali. 

COSTITUZIONE ITALIANA 

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Articolo 9

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. 

Articolo 33

L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

Articolo 34

La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. 

 

Le competenze per la vita

Le Life Skills sono le competenze che portano a comportamenti positivi e di adattamento che rendono l’individuo capace di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni. Acquisire e applicare in modo efficace le Life Skills può influenzare il modo in cui ci sentiamo rispetto a noi stessi e agli altri, e il modo in cui siamo percepiti dagli altri.

Le Life Skills contribuiscono alla nostra percezione di autoefficacia, autostima e fiducia in noi stessi. Esse, quindi, giocano un ruolo importante nella promozione del benessere mentale, che incrementa la nostra motivazione a prenderci cura di noi stessi e degli altri, la prevenzione del disagio mentale e dei problemi comportamentali e di salute. 

Vengono individuate 10 competenze: 

  1. Consapevolezza di sé

  2. Gestione delle emozioni 

  3. Gestione dello stress 

  4. Comunicazione efficace 

  5. Relazioni efficaci 

  6. Empatia 

  7. Pensiero creativo 

  8. Pensiero critico 

  9. Prendere decisioni

  10. Risolvere problemi

 

Tali competenze possono essere raggruppate secondo 3 aree:

 

EMOTIVE - consapevolezza di sé, gestione delle emozioni, gestione dello stress.

RELAZIONALI - empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci.

COGNITIVE - risolvere i problemi, prendere decisioni, pensiero critico, pensiero creativo.

 

Le competenze chiave: il quadro di riferimento europeo  

Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente - 22 maggio 2018: “Il Consiglio dell’Unione Europea, nel presentare il nuovo quadro di riferimento, ribadisce che in un mondo interconnesso e complesso è richiesto ad ogni persona di possedere un corredo composito di abilità e competenze da sviluppare sin dall’infanzia con continuità, progressione e in diversi contesti di apprendimento.

Le competenze chiave definite nel recente assetto sono, pertanto, correlate a molteplici ambiti: l’occupabilità, la realizzazione personale e la salute, la cittadinanza attiva e responsabile e l’inclusione sociale. Lo sviluppo delle stesse prevede, pertanto, un approccio olistico, poiché tutte si iscrivono nel più ampio concetto di sviluppo sostenibile e di cittadinanza globale. Esistono ampi margini di sovrapposizione all’interno delle 8 competenze, così come dovrebbe accadere nei percorsi educativi e formativi mirati alla loro acquisizione.

Non è pensabile, dunque, di applicare le singole competenze a percorsi specifici di apprendimento orientati su una o poche discipline. In filigrana alla nuova architettura dell’intero quadro di riferimento si scorge l’importanza di sviluppare le 8 competenze nella loro “combinazione dinamica” di conoscenze, di abilità, di atteggiamenti e, si potrebbe anche aggiungere, di emozioni correlate ad una crescita progressiva personale e sociale che dovrebbe durare per tutta la vita”

Le 8 Competenze Chiave 

  1. Competenza alfabetica funzionale

  2. Competenza multilinguistica

  3. Competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e  ingegneria      

  4. Competenza digitale  

  5. Competenza personale, sociale e capacita’ di imparare a imparare 

  6. Competenza in materia di cittadinanza 

  7. Competenza imprenditoriale 

  8. Competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali

I quattro pilastri dell’educazione: dal rapporto all’Unesco della Commissione Internazionale sull’Educazione per il XXI secolo 

L’educazione si colloca al centro dello sviluppo sia della persona sia della comunità; il suo compito è di consentire a ciascuno di sviluppare pienamente i propri talenti e di realizzare le proprie potenzialità creative, compresa la responsabilità per la propria vita e il conseguimento dei propri fini personali. 

Imparare a vivere insieme sviluppando una comprensione degli altri ed un apprezzamento dell’interdipendenza (realizzando progetti comuni e imparando a gestire i conflitti) in uno spirito di rispetto per i valori del pluralismo, della reciproca comprensione e della pace.

 Imparare a conoscere, combinando una conoscenza generale sufficientemente ampia, con la possibilità di lavorare in profondità su un piccolo numero di discipline. Questo significa anche imparare ad imparare, in modo tale da trarre beneficio dalle opportunità offerte dall’educazione nel corso della vita. 

Imparare a fare, allo scopo di acquistare non soltanto un’abilità professionale, ma anche, più ampiamente, la competenza di affrontare molte situazioni e di lavorare in gruppo. 

Imparare ad essere, in modo tale da sviluppare meglio la propria personalità e da essere in grado di agire con una crescente capacità di autonomia, di giudizio e di responsabilità personale

Cittadinanza attiva

“Poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere elevate le difese della pace” (dal preambolo dell’Atto Costitutivo dell’UNESCO).

“La città dovrebbe essere strutturata e gestita in modo da permettere ai bambini la possibilità di uscire di casa, recarsi a scuola, incontrarsi e giocare negli spazi pubblici senza essere necessariamente accompagnati dagli adulti; questo permette loro di vivere esperienze fondamentali per la crescita, come l’esplorazione, la scoperta, la sorpresa e l’avventura. I bambini delle città moderne sono spesso invece costretti a vivere lunghi momenti di solitudine, in un contesto domestico controllato, vedendo appagate le loro necessità solo attraverso il consumo di beni materiali o mediatici” (tratto dall’opuscolo UNESCO realizzato per il decennio dell’educazione allo sviluppo sostenibile). 

Educare alla cittadinanza attiva vuol dire permettere ai bambini e ai ragazzi di accorgersi dei propri bisogni, di quelli di chi sta loro vicino, dell'ambiente e del territorio in cui vivono e di prendere iniziative. Significa aiutarli ad osservare e ad agire.

Le parole chiave sono: osservazione, attenzione, cura, continuità. Fondamentale è comprendere che un aspetto imprescindibile della cura e dell'attenzione verso l'ambiente e il territorio è la manutenzione, la cura costante, il prendersi carico dei problemi in maniera continuativa e non solo estemporanea. I bambini e i ragazzi saranno invitati, con il coinvolgimento delle istituzioni, a fare proposte e a immaginare iniziative. Ancora dall’opuscolo dell’Unesco: “La città deve inoltre valorizzare il ruolo di “cittadinanza attiva” dei bambini. Il bambino è infatti portatore di opinioni e proposte, capace di interpretare ed esprimere i propri bisogni meglio di chiunque altro. Visto che i bisogni dei bambini coincidono con quelli di gran parte dei cittadini, specialmente delle fasce meno protette, una città che ascolta i bambini è una città dove tutti vivono bene.” 

 

Benessere fisico-psichico-emotivo 

Le ricerche neuroscientifiche hanno dimostrato che l’apprendimento in natura contribuisce a un benessere fisico – psichico – emotivo. La possibilità di muovere il corpo contribuisce ad attivare ormoni che migliorano il potenziale della corteccia prefrontale e quindi la concentrazione, allo stesso tempo, contribuisce a diminuire il cortisolo abbassando il livello di stress, condizione necessaria per apprendere. Vivere gli spazi esterni alla scuola permette di rafforzare il sistema immunitario e combattere l’obesità infantile. 

Sostenibilità: agenda 2030 

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Agenda è costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. 

I 17 obiettivi prendono in considerazione in maniera equilibrata le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile – economica, sociale ed ecologica – e mirano a porre fine alla povertà, a lottare contro l‘ineguaglianza, ad affrontare i cambiamenti climatici, a costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani. Riteniamo che il percorso di educazione all’aperto, proprio per la sua caratteristica intrinseca e per la sua naturale multidisciplinarietà sia funzionale al raggiungimento delle finalità contenute nell’agenda 2030. 

Metodologie e strumenti didattici 

La neuro educazione: le emozioni nel processo di apprendimento  

La dott.ssa Daniela Lucangeli, ricercatrice e docente ordinaria di psicologia dello sviluppo presso l'Università di Padova, ritiene che nel processo di acquisizione di una conoscenza o competenza, non registriamo solo la conoscenza ma anche l’emozione che ha accompagnato quel processo. La felicità dell’educatore, quindi la sua capacità di stare nel qui ed ora e di vivere quell’intensità, crea un circuito emozionale positivo anche nel bambino, il quale avverte la gioia che possiede il maestro legata a quell’apprendimento e ne trae il valore positivo. Affinché una conoscenza possa entrare nella memoria a lungo termine, dev’essere Emozionante e Significativa. 

Daniel Goleman, celebre psicologo, scrittore e giornalista statunitense, afferma che l’intelligenza emotiva è un termine che include l’autocontrollo, l’entusiasmo e la perseveranza, nonché la capacità di auto-motivarsi. Queste capacità possono essere insegnate ai bambini, mettendoli così nelle migliori condizioni per far fruttare qualunque talento intellettuale la natura genetica abbia dato loro. Secondo Goleman l’obiettivo dell’educazione emozionale è accompagnare i bambini a compiere questi quattro passi: 

  1. che possano raccontare la situazione e come li fa sentire, identificando e dando un nome all’emozione;

  2. che pensino alle diverse opzioni per risolvere la situazione;

  3. che analizzino le conseguenze di ogni opzione;

  4. che scelgano una soluzione e la mettano in pratica.

 

Lucangeli ci fornisce alcuni dati degni di nota:  "Il 73% dei nostri bambini alle scuole medie, secondo uno studio di una Commissione Ministeriale, sono in uno stato di malessere.

La depressione infantile, fino a vent’anni fa sconosciuta alla letteratura scientifica, cresce in maniera esponenziale. Come le neuroscienze confermano, nei primi sei anni di vita si formano definitivamente le mappe cognitive e le mappe emotive. Per mappa cognitiva s’intende la modalità con cui apprendiamo la conoscenza, mentre per mappa emotiva s’intende la modalità con cui gli eventi echeggiano dentro di noi. A fronte di quanto esposto è evidente che la scuola debba necessariamente avviare un processo di cambiamento attivando strategie per salvaguardare la centralità e il ruolo attivo del bambino nel suo processo di apprendimento. Per far questo, occorre ritrovare il coraggio di alzare l’asticella, assumendosi l’onere e l’onore di dare ai nostri bambini e ragazzi gli strumenti per sviluppare una coscienza critica ed emozionale che permetta loro un’autonomia sociale e civile nel mondo.” 

La scuola deve riappropriarsi degli spazi dati in concessione a un sistema consumistico che ne ha stravolto il motivo per cui sono stati creati, solo così sarà possibile infondere nei bambini e risvegliare nei ragazzi una coscienza civile basata sul rispetto e l’accoglienza dei propri bisogni e di quelli altrui. La scuola non può essere identificata come un semplice servizio, dove si travasa conoscenza da un contenitore a un altro, all’interno di quattro mura; la scuola è vita, è il collante di una società che ha come fine ultimo la felicità. 

Apprendimento esperienziale 

“Se ascolto, dimentico. Se vedo, ricordo. Se faccio, capisco” (Confucio)

L’approccio esperienziale e scientifico mira a rendere protagonisti gli alunni attraverso l’esperienza, il learning by doing, coinvolgendoli in attività progettate che permettano di dare senso alla varietà delle loro esperienze. La scuola deve mettere l’alunno in situazione, facendo emergere le sue potenzialità e le sue risorse attraverso esperienze didattiche aperte e stimolanti, che lo incuriosiscano e lo mettano alla prova. Sono queste esperienze che stimolano la riflessione e la costruzione di nuovi saperi e competenze, inducono autonomia nell’affrontare anche compiti nuovi e imprevisti e promuovono il senso di responsabilità. 

L’ascolto 

“Ascoltare vuol dire capire ciò che l’altro non dice” Carl Rogers 

Ti ascolto, vi ascolto, ci ascoltiamo, mi ascolto. 

L'ascolto, in tutte le sue dimensioni, è di centrale importanza nella relazione educativa e nei percorsi di apprendimento/insegnamento. 

La principale risorsa di un insegnante sono i suoi alunni, ma perché questa sintonia possa realizzarsi il docente deve porsi in una costante dimensione di ascolto: ascolto delle domande poste dai bambini, delle loro richieste, dei loro bisogni, dei loro interessi. 

Un insegnante ascolta per cogliere gli spunti necessari a costruire percorsi di apprendimento efficaci e autentici e ascolta per valutarne il processo e il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Un insegnante educa all'ascolto i propri alunni perché questi sviluppino capacità di comprensione e di riflessione e capacità di relazionarsi con gli altri in modo costruttivo, infatti questo è possibile solo nel momento in cui ci si ascolta a vicenda e si impara a riflettere sul punto di vista dell'altro. Un insegnante accompagna i propri alunni ad ascoltarsi, a riconoscere, interpretare e gestire le proprie emozioni, al fine di sviluppare relazioni positive, che si basano sulla capacità di ascolto di se stessi e degli altri. 

L'errore come risorsa  e il valore di una valutazione formativa

“Se sbagli non fa niente” Daniela Lucangeli

Nell'ottica di percorsi di insegnamento/apprendimento basati sulla scoperta e sulla costruzione attiva di conoscenze e competenze da parte degli alunni, l’errore diventa parte integrante del processo di formazione, una risorsa per migliorarsi e un'opportunità per sviluppare nuovi apprendimenti. Del resto, è ormai scientificamente provato che si impara più dagli errori che dai successi: il nostro cervello è strutturato per fare errori e apprendere da essi.  

Non esiste la negatività dell’errore in senso tale, bensì l’errore è un’opportunità finalizzata al raggiungimento di una consapevolezza, ed essere consapevoli di poter sbagliare aiuta i bambini e le bambine a non temere il giudizio.  

L’errore per i bambini si trasforma in un punto di riflessione. 

Al docente spetta il compito di far capire che l’errore non è drammatico, bensì parte fondamentale del processo educativo.  

“L'errore ci porta sul cammino dell'accettazione, dell'esplorazione, della mutua correzione, nella consapevolezza di non voler fare di ognuno di noi una macchina banale che adotta risposte sempre prevedibili e nella scoperta che ci può e deve essere sicurezza che si basa non già sul preconfezionamento di risposte banali, bensì sulla meraviglia”.

L'errore diventa opportunità quando viene riconosciuto, “accolto” e con esso anche chi l'ha commesso (in questi termini svolge anche una funzione inclusiva); porta l'alunno a riflettere sul suo apprendere e lo aiuta a controllare in modo positivo i suoi sforzi e le sue insicurezze; viene superato in maniera positiva e attraverso la socializzazione, sviluppando atteggiamenti di cooperazione, infatti grazie a discussione e confronto gli errori di ognuno diventano problemi di tutti, in una ricerca e collaborazione continua; educa alla complessità e lascia aperti al dubbio. La considerazione dell'errore in termini positivi pone la condizione necessaria per lasciare libero l'alunno di sperimentare, trovare soluzioni, creare, sviluppando la capacità di mettersi in gioco, di esplorare, correggersi senza temere il giudizio, ossia permette al bambino/ragazzo di crescere.  

Solo una persona consapevole di sé, degli altri e della realtà in cui vive può compiere scelte positive per sé e per gli altri, solo così può essere davvero libera. La valutazione, in coerenza al piano educativo che pone al centro di ogni attività la crescita personale e l'acquisizione di una sempre maggiore consapevolezza di sé, non può che assumere una forma esclusivamente formativa. In questi termini è uno strumento indispensabile per lo sviluppo di ogni alunno/a ed è motore di miglioramento del singolo e del gruppo. 

La valutazione formativa è un mezzo per prendere coscienza dei propri limiti e dei mezzi e dei modi per poterli, di volta in volta, spostare. Non ha lo scopo di selezionare o giudicare, ma concorre notevolmente a creare un ambiente di apprendimento, nel quale bambini e ragazzi possano essere liberi di esprimersi senza sentirsi giudicati, condizione indispensabile per promuovere la crescita di ognuno. Infatti, un ambiente di apprendimento giudicante, che si crea inevitabilmente con modalità di valutazione più rigide, non facilita l'espressione di sé e può costituire un impedimento alla realizzazione delle potenzialità di ogni alunno, determinando atteggiamenti passivi, scarsa autostima, chiusura all'apprendimento, e magari anche alle relazioni, e l'insorgere di atteggiamenti oppositivi.  

La valutazione va intesa nella sua accezione di “dare valore”: serve per comprendere come migliorarsi, ma anche a prendere coscienza delle proprie potenzialità e inclinazioni e di come attivarle. Va inoltre considerata come una pratica aperta, coerente con l'obiettivo di educare alla complessità e come una valutazione autentica che segue il formarsi e l'acquisizione di competenze, attraverso modalità di apprendimento attivo.  Si esplica in una costante attività di controllo, riflessione, ridefinizione dei processi individuali e del gruppo per poterne orientare lo sviluppo successivo.  Si basa su un'attenta e costante osservazione degli alunni e delle loro risposte alle attività, attraverso la relazione, l'ascolto, il dialogo e si avvale di strumenti di tipo descrittivo, narrativo, di registrazione dei progressi e delle battute d'arresto.  

La valutazione, in quanto strumento per acquisire consapevolezza di sé, vede come momento fondamentale l'autovalutazione, sia dell'alunno che dell'insegnante, entrambi coinvolti nel processo di  apprendimento/insegnamento, vissuto come esperienza di crescita continua, tramite la partecipazione attiva, la riflessione e il confronto con gli altri. 

Educazione al rischio

“Il vero coraggio non è assenza di paura, ma agire nonostante la paura” 

I termini rischio e bambini nella nostra cultura sembrano non potersi mai accostare. Menzionare il termine rischio quando si parla di esperienze di gioco suscita immediatamente ansia negli adulti, che li porta a limitare ai bambini le possibilità di esplorazione. Con il termine rischio si intende l’eventualità, maggiore o minore, che qualcuno possa essere danneggiato da un'azione azzardata, che può però essere calcolato e messo in conto nelle previsioni. Il controllo del rischio comporta prassi che portano a ridurre tale possibilità, e mitiga le conseguenze di un'azione che potrebbe provocare danno.  

Accertare un rischio significa valutarlo e decidere se le precauzioni sono adeguate o se occorre mettere in atto misure maggiori. Se i bambini sono inclini a giocare in modo rischioso, sono anche molto bravi a conoscere le proprie capacità ed evitare rischi che non sono pronti a correre, fisicamente o emotivamente.  

Ogni nostra scelta adulta deve essere ponderata per la sicurezza dei bambini, è bene evitare pericoli inutili ma non per questo bisogna lasciare che comandi la paura, se siamo consapevoli che il rischio è una grande componente educativa che abitua il bambino a percepire il pericolo e lo aiuterà in futuro a stare attento quando ne avrà bisogno. È importante progettare occasioni di esperienza in una varietà di ambienti, il che significa accettare che i bambini e i ragazzi possano andare incontro a situazioni che comportano un certo grado di rischio e potenziale pericolo. Tutto ciò include una valutazione dei rischi che, mentre prende in considerazione i benefici dell’attività valutata, assicura anche che siano messe in atto precauzioni proporzionate che riflettono il livello di rischio reale. Bisogna assicurarsi che convinzioni sbagliate circa la salute e la sicurezza non determinino la progettazione di ambienti esperienziali sterili, privi di sfide che impediscono ai bambini di accrescere la loro possibilità di apprendere e incrementare le proprie abilità. sperimentare il rischio nel gioco è un’importante opportunità di sviluppare la consapevolezza di esso e prepararli alla vita futura.

Educazione alla libertà e alle regole  

“Il segreto della felicità è la libertà, e il segreto della libertà è il coraggio” Tucidide

Nella sua crescita e nella scuola il bambino deve affrontare un percorso che lo porta verso l'autonomia; per aiutarlo in questo dobbiamo fargli sperimentare spazi e tempi di libertà per scoprire la necessità di concordare e condividere regole. Le regole creano apprendimento, educano all'indipendenza e sviluppano una libertà interiore, personale   e autentica. Le regole definiscono spazi di libertà e di possibilità, entro i quali i bambini sanno cosa è possibile fare senza dipendere da un adulto. Le regole pertanto devono essere chiare e comprensibili, adeguate all'età e sostenibili, cioè funzionali alla crescita: l’alunno va aiutato a sviluppare un senso di autodisciplina perché non esiste libertà senza autocontrollo.  

L’educazione diffusa e il ruolo dell’insegnante

“Mai più aule tra muri e studenti che volgono lo sguardo teso alla fuga al di là dei vetri chiusi” (La città educante. Manifesto dell'educazione diffusa. Asterios)

L'educazione diffusa immette i bambini direttamente nelle dinamiche sociali vere, reali, nei luoghi della realtà. È una diversa concezione di scuola per bambini/e e ragazzi/e dove non è più la scuola l’unico luogo educativo e formativo, ma l’intero tessuto sociale che diventa co-insegnante e co-educatore. L’apprendimento passa quindi attraverso esperienze concrete, condivise da più “attori”. L’esperienza autentica diventa il fulcro attorno al quale si costruiscono le conoscenze e mobilita tutto il territorio, i quartieri, la città ai quali si chiede di partecipare attivamente, mettendo in gioco competenze, esperienze, memoria storica e divenendo essi stessi risorsa. Così facendo la motivazione ad apprendere aumenta. 

Si apprende attraverso l'esperienza e quindi attraverso visite ed esplorazioni, interviste ed osservazioni, gioco, video-reportages e inchieste, progetti e costruzioni, creazione di opere, spettacoli, erogazione di servizi, visione di un film, ascolto di un disco o di un concerto...e in un secondo momento si partecipa a momenti di approfondimento, riflessione e studio. La scuola diventa così una base dove organizzare e riflettere sulle attività che devono realizzarsi nei mondi aperti al reale.

Affinché questo accada, è necessario costruire un tessuto sociale solidale, responsabile, attento, dove il bambino/ragazzo è il centro e l’adulto è il sostenitore del processo educativo e formativo. Significa ribaltare lentamente i paradigmi fondamentali dell’educazione, dell’istruzione, della formazione, dell’insegnamento e dell’apprendimento verso l’esperienza, la ricerca, l’erranza, l’apprendimento incidentale- istintivo e ricco di emozione, la creatività, la passione e il coinvolgimento. Il ruolo educativo della natura  La natura fa parte del bambino, è la più grande maestra, dona energia e serenità. In un ambiente naturale e sereno il bambino è felice e apprende facilmente in tempi spesso lunghi ma preziosi; dovrebbe avere sempre la possibilità di essere a contatto con gli elementi naturali, la natura infatti offre sempre spunti di ricerca, di esplorazione, di scoperta e quindi molte possibilità di apprendimento.

Gli insegnanti devono mettersi all'altezza dei bambini per attivare percorsi condivisi, lasciandoli liberi di imparare attraverso tentativi ed errori. Un percorso di apprendimento in natura deve essere un'esperienza pratica centrata sui bambini.  Il lavoro di collaborazione finalizzato ad una sempre più profonda conoscenza della natura porta alla conoscenza di noi stessi e nell'ottica delle relazioni sociali può garantire coesione, armonia e rispetto.  

Vivere la natura è pertanto fondamentale per i bambini che devono poter toccare con mano piante e animali per creare un legame emotivo, empatico e sviluppare creatività e fantasia. 

La complessità della natura offre opportunità di ricerca, di riflessione individuale e condivisa e fornisce le condizioni migliori per apprendere. Cambia il ruolo dell’insegnante: M. Guerra in Fuori (pg.52) sottolinea come il “compito dell’adulto diviene non tanto quello di definire cosa fare, o ancor più cosa far fare, ma quello di offrire le opportunità e gli strumenti adeguati per farlo”.

Non più mediatore unico del sapere, l’insegnante si mette in gioco e si rende disponibile ad accogliere le proposte dei bambini, disponibile ad insegnare meno e condividere di più, capace prima di guardare e sperimentare e solo poi di parlare, lasciando spazio all’esperienza (Cornell, 2014). Solo allora potrà rileggere le loro scoperte e domande in una proposta progettuale fortemente inclusiva.

I bambini sono protagonisti nell’osservare, nel ricercare, nel porsi domande e nel rielaborare. L’insegnante che fa scuola in natura si avvale di diverse tecniche educative ritenute da diversi autori inclusive e maggiormente efficaci, quali la peer education, il cooperative learning, il Problem Basic Learning, l’attivazione metacognitiva, l’apertura delle classi per la formazione di gruppi misti di ricerca, l’utilizzo di brainstorming in diverse fasi di lavoro e il circle time per la condivisione non solo delle conoscenze ma dell'essenza di ciascuno.

I tempi lenti 

A scuola dalla lumaca. Elogio della lentezza.

La scuola degli ultimi anni spesso riflette le tendenze di una parte della società centrata sul mito della velocità e dell’accelerazione. Eppure i più importanti studi pedagogici concordano nell’affermare che l’apprendimento, per essere autentico, abbia bisogno di tempi lenti e distesi (vedi, per citarne solo alcuni, Montessori, Freire, Lodi, Dewey, Freinet, Rodari, Don Milani, Gardner, Tonucci, Francesch). 

Tempo lento significa rallentare, prendere tempo, avere tempo e dare tempo, cooperare, riflettere. 

Parlare, conoscersi, osservare, usare i sensi, confrontarsi, fare ipotesi e condividerle. Stupirsi e ricercare. Rispettare il tempo e la sua naturale scansione. La sperimentazione diretta, l’immersione sensoriale nella natura, nelle esperienze sociali e nella risoluzione dei piccoli e grandi problemi sono il punto di partenza di ogni apprendimento e di ogni conoscenza. La lentezza equivale a trovare il proprio ritmo in modo che le esperienze vengano desiderate e fatte proprie, è un invito a trovare un passo nel quale le cose prendono senso, si trovano soluzioni creative, si impara a stare nella noia per aprire nuove strade di ricerca. Educazione ed apprendimento sono processi naturalmente lenti se si vuole che si realizzino in profondità.

Ciò avviene attraverso una moltitudine di situazioni e le persone compiono un processo che le aiuta a crescere sul piano emotivo e intellettuale. Il tempo lento è una decelerazione in campo educativo che mira a rispettare i naturali e diversi ritmi dell’apprendimento di ciascuno: educare alla lentezza significa adattare la velocità al momento educativo e alla persona.  

I tempi lenti permettono una conoscenza individuale, ma allo stesso tempo attraverso la condivisione, la cooperazione e il rispetto dei tempi della singola persona avverrà la conoscenza di gruppo. Rallentare per sé e per gli altri, camminando insieme per raggiungere le conoscenze, tutti allo stesso tempo.  

Il ritmo veloce, gli obiettivi a breve termine, la pressione sul risultato danno invece luogo a situazioni insostenibili, perdita di creatività e stress in molti alunni, risultati modesti a medio e lungo termine. Non solo: il modello basato sulla velocità accentua le disuguaglianze, in quanto fondato su ritmi possibili, forse, solo ad una parte degli alunni (Francesch). 

Zavalloni ne "La pedagogia della lumaca" suggerisce molti spunti per “rallentare” a scuola: “perdere tempo” a parlare insieme, ascoltare gli altri, condividere le scelte, usare le mani, esplorare, costruire, sbagliare e imparare dagli errori, aiutarsi reciprocamente. Delinea anche alcune strategie didattiche di rallentamento: parlare insieme e ascoltarsi, passeggiare, camminare, muoversi a piedi, disegnare anziché fotocopiare, osservare direttamente la Natura, tornare a prediligere la scrittura a mano, in corsivo attraverso cui scrivere lettere e cartoline vere, usandole come mezzo artistico; realizzare un orto a scuola: rendersi conto e riappropriarsi del tempo “naturale” delle cose.

Il gioco

“L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare” George Bernard Shaw

 

Il gioco è un elemento costitutivo dell’esperienza umana e come tale deve trovare uno spazio significativo all’interno della progettazione educativa non solo alla scuola dell’infanzia, ma anche negli altri ordini di scuola.  Il gioco è per sua natura attività stimolante, motivante, divertente; attraverso esso si ampliano le conoscenze, si fanno esperienze significative, si apprende. La natura del gioco è molto complessa e poliedrica, occorre innanzitutto distinguere tra il gioco spontaneo e quello strutturato.

Il gioco spontaneo, libero, è  il “vero gioco”, fine a se stesso, che gli alunni potranno coltivare nei momenti liberi e che non potrà mai mancare nell’organizzazione scolastica. I giochi liberi sono esperienze significative che permettono l’attivazione della concentrazione, dell’attenzione e del piacere di mettersi in relazione con gli altri, mentre il ruolo del docente sarà quello dell’osservatore.   

Il gioco strutturato invece acquista valenza di strumento metodologico. Il ruolo dell’insegnante sarà quello di progettare e proporre attività ludiformi per rendere più motivante e stimolante la proposta didattica e più significativo l’apprendimento.  

Gioco e natura

Prendendo in prestito le parole di Gianni Rodari, può essere definito come “binomio fantastico”: il gioco in natura e con i materiali naturali diventa metodo per vivere emozioni, per stimolare la curiosità, per mettersi alla prova, per sviluppare l’immaginazione, per essere motivati ad apprendere in modo naturale e autentico.

Le ricerche delle neuroscienze hanno affermato che il gioco sviluppa funzioni cognitive come pensiero e linguaggio e forma il «cervello sociale». In particolar modo il gioco permette l’attivazione della struttura biochimica del cervello: la dopamina, che motiva e stimola i muscoli per il movimento e crea lo stato favorevole alla creatività; l’acetilcolina favorisce la concentrazione, l’attenzione e il pensiero logico; la  serotonina responsabile della riduzione dell’ansia e dello stress, della regolazione dell’umore e del sonno, fondamentale per il controllo della temperatura corporea; le encefaline, neurotrasmettitori della famiglia delle endorfine, riducono la tensione neuronale fornendo al bambino tranquillità, gioia e uno stato di benessere, riducendo il dolore e migliorando il sistema immunitario. 

I materiali non strutturati  

“Un bambino abituato a vedere trasformare le cose diventerà creativo e non si annoierà mai” (Bruno Munari) 

La creatività è libera espressione di sé e non c’è nulla di più catartico, terapeutico e profondamente educativo, specialmente per un bambino o un ragazzo che ha un enorme bisogno di scoprirsi e di potersi esprimere per ciò che è davvero. In questa ottica, acquistano notevole importanza le cosiddette “loose parts” cioè quei materiali naturali o di riciclo (tappi, tubi, sassi, molle...) che non hanno un utilizzo predeterminato e che possono essere assemblati in modo libero secondo creatività e progettualità con fantasia e immaginazione.

Si può usare il materiale destrutturato in modo divergente per trasmettere informazioni, verbalizzare le emozioni. In campo più strettamente didattico si possono estrapolare le regole geometriche, narrare delle storie, osservare e denominare le sfumature di colore, realizzare opere d’arte anche stile “land art”, fotografare attraverso essi con diverse angolazioni, costruire mandala. Il ruolo dell’insegnante è quello di facilitatore: invita i ragazzi e li incoraggia all’esplorazione e all’azione, senza interferenze.

Riscopriamo l’importanza delle mani, del tatto e del piacere attraverso il legno, le piante, i fiori, l’acqua del mare, la terra. Vista, tatto, bocca sono papille gustative di sapori-saperi analizzati molteplici volte nei vari aspetti della loro diversità: ruvidezza, levigatezza, mollezza, vischiosità, secchezza e forme concave o convesse, appuntite o arrotondate. Usciamo dalla logica della plastica, materiale povero e poco stimolante di cui stiamo abusando, per il quale il pianeta sta soffrendo e che purtroppo, caratterizza l'80% delle aule e delle stanze dei bambini.

Il materiale non preordinato, non scientifico e occasionale, definito dalle sorelle Agazzi le “cianfrusaglie senza brevetto”, diventa facilitatore e mediatore dell’apprendimento. I bambini non hanno bisogno di giochi sofisticati o di ultima generazione ma di contesti e materiali che permettano di utilizzare i tesori che custodiscono, come l’immaginazione ed i sensi. È quindi ovvio che il materiale come la plastica rispetto a un bastoncino, alla terra, alle foglie, sia molto povero dal punto di vista sensoriale.

“Diversamente i materiali non strutturati, naturali o artificiali sono vita reale che entra a scuola, con la forza dirompente delle loro qualità, delle loro peculiarità, quelle del materiale naturale che appartiene a contesti verdi di cui i bambini hanno oggi spesso pochissima esperienza con il risultato che hanno maggior dimestichezza con tecnologie anche complesse, rispetto alla forma e alla delicata vita di una foglia o di un fiore, quelle del materiale di recupero o di scarto che racconta la materia pervasiva del nostro tempo, un mondo già di plastica che progressivamente si smaterializza virtualmente e che pure continua a produrre rifiuti in maniera esponenziale”. 

L’apprendimento come sappiamo nasce dalla motivazione interna, dalla naturale curiosità insita in ogni bambino e l’emozione particolare che alimenta la curiosità, è lo stupore che nasce quando ci imbattiamo nel nuovo, nello sconosciuto: è proprio in quell’occasione che nascono le domande e che il processo di apprendimento trova il suo mordente.

 

La documentazione

Il nostro percorso progettuale prevede un’attenzione particolare al documentare inteso nelle sue diverse sfaccettature e attraverso molteplici strade: per gli insegnanti come diario di bordo, monitoraggio e momenti di scambio di esperienze significative e buone pratiche; per gli alunni come traccia del cammino percorso; per i genitori come strumento di condivisione e linguaggio comune; per il territorio come partecipazione e impegno.

 

Per concludere

Il Progetto si propone di percorrere strade adatte a tutti, inclusive e aperte al cambiamento, pronte a mutare direzione.

La qualità degli apprendimenti sarà in stretta connessione con il grado di benessere di docenti, alunni e famiglie, permettendo così lo sviluppo di un tessuto volto alla realizzazione di una comune felicità.